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E' recente la pubblicazione dell'OMS del World Health Statistics 2014, uno studio epidemiologico estrapolato dai dati provenienti da 194 paesi in cui sono stati presi in considerazione alcuni importati indicatori di sanità, quali la mortalità, le malattie, i decessi, la qualità dei servizi sanitari e dei trattamenti sanitari, gli investimenti finanziari, e, infine, le aspettative di vita.
Relativamente a quest'ultimo parametro, mentre un bambino nato nel 1990 aveva una aspettativa di vita di 62 anni e una bimba di 69 anni circa, i nati nel 2012 vedono incrementata di almeno 6 anni tale aspettativa.
In Italia, ad es. tale valore è di 80,2 anni per i maschi e di 85 anni per le femmine, rispettivamente al VII e V posto della classifica dei primi 10 posti, dopo l'Islanda, la Svizzera, l'Australia, l'Israele, Singapore e la Nuova Zelanda.
Negli ultimo 50 anni la medicina NEL MONDO OCCIDENTALE è arrivata a traguardi inimmaginabili:
forte deflessione della mortalità infantile e delle malattie infettive;
i successi nei trapianti di organi;
la riduzione delle malattie cardiovascolari;
la conoscenza del genoma umano e la capacità di prevedere l'insorgenza di alcune malattie in base all'assetto genetico di una persona.
Nonostante tali successi si discute continuamente:
1)di malasanità e aumento dei contenziosi medico – legali;
2)del ricorso a terapie alternative e/o complementari molto discutibili;
3)della continua disumanizzazione della medicina.
Come si spiegano queste contraddizioni?
Sono forse i medici particolarmente cinici ed insensibili?
O esistono precisi motivi che possiamo individuare ad una riflessione più attenta?
A mio parere alcuni di questi si possono individuare nel tipo di formazione degli operatori sanitari, nel rapporto tra medico e Big Pharma e, infine, ma non ultimo nella concezione filosofica attualmente alla base della medicina.
LA FORMAZIONE DEGLI OPERATORI SANITARI
“Dottore come siete umano!”
Frequentemente durante la mia pratica clinica ospedaliera mi capita di sentirmi attribuire questa frase.
In verità non credendo di essere particolarmente ”umano” o che gli altri siano “disumani”, e cercando una spiegazione ho iniziato ad osservare il comportamento dei colleghi durante la loro pratica clinica.
Alcuni, purtroppo, non si relazionano neppure visivamente con il paziente, e se lo fanno è unicamente sul “pezzo”, sul fegato, sul cervello, sul cuore, etc., dimenticando di stabilire un contatto con la persona o non sapendo fare. Vedremo che nella terza parte questo atteggiamento è sostenuto da una certa concezione filosofica del medico.
A volte, soprattutto durante l'attività di consulenza, i colleghi sono “soddisfatti” dalla visione degli esami, o dal confronto con il sanitario richiedente.
Basterebbero, invece, solo pochi minuti per stabilire un buon “rapport” con il paziente e con i familiari che lo accompagnano e dispiegare così tutta una realtà clinica che sarebbe altrimenti misconosciuta.
Quando ciò avviene nella mia realtà sociale, dove la gente è abituata a chiedere il “favore” al posto di rivendicare un suo giusto diritto, la consulenza viene scandita da 3 significative frasi.
La prima.
“Dottore noi siamo i parenti di ...” oppure “Noi conosciamo il ….” Nel tentativo di stabilire una auto-raccomandazione.
La seconda.
La seconda frase indicativa di un buon rapport è la seguente: “Dottò, ma vui 'e do site” (Dottore, ma voi di dove siete?”), nel tentativo di identificare meglio l'operatore che hanno di fronte.
Infine, la terza: “Dotto', ma dove tenete lo studio?”. Facendo così prospettare un successivo rapporto privatistico.
E' certamente possibile con un minimo addestramento utilizzando lo stesso tempo che si dedica alla valutazione di una TAC, riuscire ad aprire un varco nelle strutture profonde del paziente.
Ma serve una specifica formazione.
Le domande che a questo punto dobbiamo farci è se siamo in grado di prenderci cura delle persone, oltre a diagnosticare loro una malattia; se siamo in grado di accompagnare il paziente nel suo percorso di malattia, ad assistere la sua fragilità, a condividerne le paure, i timori, le ansie che tale nuova condizione determina.
Abbiamo queste competenze? I nostri studenti di medicina vengono istruiti a farlo?
I nostri corsi ECM (Educazione Continua in Medicina) prevedono attività in tal senso?
Nelle Università anglosassoni queste competenze fanno parte dei curricula di studi.
E questo non con lezioni accademiche nello spirito “Ti insegno io come devi fare”, vecchio vizio italico di insegnare anche le cose che non si sanno fare, ma mettere in atto metodologie didattiche alternative:
simulazioni videoregistrate con pazienti;
interviste alla dimissione;
esperienze di Learning by living (Apprendimento mediante esperienza). Organizzazione di finti ricoveri di studenti di medicina in reparti di medicina generale all'insaputa degli operatori sanitari, affinché gli stessi vivano sulla propria pelle la condizione del ricoverato.
D'Altra parte sono rarissimi i corsi ECM dedicati all'addestramento sulla comunicazione efficace e sull'acquisizione di capacità relazionali.
RAPPORTI DEL MEDICO CON BIG – PHARMA
Le aziende farmaceutiche in quanto tali hanno come scopo il profitto.
Che poi uno Stato che partecipi alla spesa sanitaria abbia il compito di sorvegliare la appropriatezza e l'uso dei farmaci è ancora più giusto.
Purtroppo la ricerca farmacologica è stata quasi sempre prerogativa delle aziende farmaceutiche: il tipo di molecola sperimentata viene stabilita dalle stesse in base alle esigenze del mercato.
Si dice anche che la ricerca costa e che quando una molecola supera tutte le fasi di accreditamento, quando è finalmente sul mercato, il suo alto prezzo serva a recuperare le spese iniziali.
Per il passato, quindi, Big Pharma ha messo in atto tutte le manovre più disparate per una più efficace penetrazione nel mercato.
I modi con cui è possibile influenzare il medico possono essere diversi:
dalla “cura” del medico con gadget, sponsorizzazioni a congressi etc;
al ritoccare al ribasso alcuni fattori di rischio; colesterolemia da 240 mg a 200 mg/dl, trigliceridemia da 200 mg a 150 mg, la soglia giusta della pressione arteriosa normale, il tutto sostenuto da studi epidemiologici vari;
confusione tra fattori di rischio e e malattia;
ridefinizione del farmaco alla sua scadenza: il farmaco viene trasformato da forma pronta in forma retard, la molecola da destrogira viene registrata come come levogira, registrazione di nuove indicazioni terapeutiche di una vecchia molecola.
Fenomeno ancora più intrigante è il cosiddetto fenomeno del “Disease mongering”.
In principio che sta alla base di esso è molto semplice: se un farmaco ha delle Indicazioni terapeutiche esso avrà un uso limitato dal punto di vista commerciale poiché potrà essere utilizzato unicamente in una data popolazione di persone affette.
Ma se aumentassi la base di utilizzo di quel farmaco? Posso farlo se trasformo alcune condizioni disfunzionali in vere e proprie malattie.
Cos'altro è la Fobia sociale se non un diverso modo di intendere la timidezza. Molte condizioni così diagnosticate che ho incontrato nella mia pratica clinica avevano semplicemente bisogno di alcuni incontri di psicoterapia di sostegno per aumentare l'autostima del soggetto.
Altro caso interessante è la trasformazione della demoralizzazione per una perdita in vero e proprio disturbo depressivo con relativo uso di farmaci antidepressivi. E cos'altro è l'uso dei farmaci per la disfunzione erettile da parte di giovani maschi per aumentare il loro vigore sessuale?
Il farmaco, quindi, può rappresentare un grosso problema di interferenza nella relazione medico – paziente.
Io credo che questo possa avvenire se il medico delega al farmaco tutta l'eventuale funzione curativa e non si impegna in primo luogo a prescrivere se stesso.
La prescrizione del farmaco dovrebbe, invece, rappresentare un importante momento nella relazione con il paziente e di progettazione terapeutica.
LA MEDICINA E LA SUA FILOSOFIA
Il terzo punto che mi piace affrontare e che credo basilare è la posizione filosofica del medico.
Strano?
Forse che il medico fa filosofia?
La medicina è una professione eminentemente pratica, che importanza potrà mai avere la posizione filosofica del medico?
In verità, il medico è portatore di costrutti filosofici anche senza saperlo.
La medicina come scienza moderna nasce con il metodo sperimentale galileano o ipotetico – deduttivo.
Per operare delle osservazioni scientifiche che abbiano carattere di universalità un uomo di scienza per prima cosa osserva un dato fenomeno (OSSERVAZIONE), quindi formula delle ipotesi atte a spiegarlo (COSTRUZIONE DI IPOTESI). Prevede delle conseguenze dipendenti dall'ipotesi che vadano a confutare o confermare l'ipotesi iniziale.
Quando le deduzioni confermano l'ipotesi iniziale si parla di oggettività delle osservazioni e si costruisce una serie di leggi, ovvero una teoria.
Alla base del metodo sperimentale o galileano v'è LA RIPRODUCIBILITA' DELLA ESPERIENZA DA PARTE DI QUALSIASI OPERATORE NELLE STESSE CONDIZIONI SPERIMENTALI.
Questo indirizzo filosofico ha permesso alle Scienze e, nel nostro caso, alla Medicina di liberarsi dall'orientamento iniziale magico – religioso, e di fare passi da gigante nella conoscenza delle malattie.
Tutto questo è avvenuto per una RIDUZIONE DEL CORPO AD ORGANISMO.
Secondo il prof. Galimberti Umberto, una delle figure più interessanti nel mondo filosofico italiano, se la medicina non avesse ridotto il corpo a sommatoria di organi non avrebbe potuto adempiere pienamente al suo compito, ma facendo così la stessa perde il significato di corpo e la relazione corpo – mondo.
A questo punto fa un esempio illuminante: l'esempio dell'oculista.
“Quando vado dall'oculista il primo approccio è quello degli occhi che entrano in relazione col medico. Ed anche l'oculista utilizza gli occhi per rispondere a questa relazione.
Quando l'occhio diventa oggetto di esame da parte del medico, sparisce dal mondo per diventare un organo, ma anche l'occhio del medico sparisce, anche il medico sparisce come persona, perché ciò che dice può essere detto da qualsiasi altro medico con competenza oculistica.
In questa neutralità accade l'evento medico.
Dopo la diagnosi e la prognosi si recupera la qualità originaria degli occhi e la qualità originaria di essere uomini.
Nell'evento medico abbiamo quindi la scomposizione dell'uomo, la scissione dell'uomo. L'essenza della malattia è essenzialmente la schizofrenia. Ammalarsi e diventare schizofrenici è la stessa cosa. Una persone è normale quando il suo corpo è in relazione con il mondo...il mio corpo è in relazione perché vede un mondo, perché dal mondo riceve degli stimoli, perché ha una memoria del suo essere stato al mondo, etc. Il rapporto vero è corpo – mondo, non corpo e anima. Appena mi ammalo il mondo sparisce e il posto del mondo viene assunto dal mio corpo. Si crea in me una scissione. Mentre quando sono sano io coincido con il mio corpo, quando mi ammalo il mio corpo si separa da me [e diventa organismo]”
Ho preferito che fosse il filosofo a spiegare questa fase fondamentale del concepire al malattia in modo olistico.
A una certo punto il medico, per dirlo con mie parole, deve allontanarsi dalla posizione, a volte delirante, di una certa oggettività a tutti i costi e volgere lo sguardo al mondo costitutivo del paziente.
La posizione “oggettivista” totalizzante quando non riesce a spiegarsi determinati fenomeni usa dei termini come “essenziale”, “non responders”, “non altrimenti classificabile”, etc.
Una visione olistica, dunque, non deve limitarsi alla valutazione “oggettive” del corpo ridotto ad organismo, ma deve:
analizzare il rapporto tra l'uomo e il suo mondo.
“Essere malati significa per il paziente una nuova, malata visione del mondo”
“Il paziente è malato e subito il mondo è ammalato con lui; nel descriversi il suo mondo egli ci descrive, senza inganno, senza errore, se stesso”
analizzare il rapporto tra l'uomo e il suo corpo.
Dove per corpo deve intendersi non il corpo anatomico o la compagine somatica (Körper),
ma il corpo vissuto, mondanizzato (Leib);
analizzare il rapporto tra l'uomo e le sue relazioni;
analizzare il rapporto dell'uomo con il suo tempo.
Spero con queste mie considerazioni di aver dato un piccolo contributo ad una diversa concezione dell'uomo e della malattia nel solco della Medicina Umanistica. Altri articoli seguiranno con dei casi clinici esplicativi.
Grazie della pazienza che mi avete accordato.
31/03/2016 dott. Luigi ROCCO
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